Democrazia e coronavirus

Fin dalle prime battute dell’emergenza sanitaria in corso, i provvedimenti governativi mi sono apparsi iniqui. Perché dettati dall’urgenza (dalla fretta?), senza pensare alle conseguenze sociali (si pensi alla recente “fuga” dalla Lombardia e altre zone del nord Italia), senza aver fatto un’analisi della situazione: sono abituato per mestiere ad analizzare i dati sempre, prima, a rapportarli col territorio, la demografia e quant’altro, ma a tutt’oggi non solo non sappiamo quando si sia diffuso il virus e da dove, ma nemmeno abbiamo una stima affidabile del numero dei contagiati. Non pretendo facciamo come in Sud Corea, siamo molto indietro, ma sentire autorevoli virologi sparare percentuali ad minchiam di certo non aiuta.

Ora un’ulteriore ordinanza del Ministero della Salute decreta: accesso vietato a parchi, aree gioco, ville, giardini pubblici, vietato svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto. “State tutti a casa, non uscite”.

La salute viene prima di tutto, ce lo ricorda anche la Costituzione. Primo appunto: se ciò fosse universalmente accettato, dovrebbe essere tutelata sempre, e quella di tutti; senza la costante riduzione di persone e denari, avvenuta negli ultimi decenni, del servizio sanitario nazionale, ora non avremmo questa crisi. Secondo, ci sono anche altri diritti da tutelare, e vorrei ribadire che le persone sono in grado di intendere. Non siamo bimbi piccini.

E’ necessario che ci si ricordi, quando si prendono decisioni così “forti” (pur dettate da un’emergenza mai accaduta prima), che l’Italia è un paese con notevoli diseguaglianze. Non puoi restare a casa se non ce l’hai , un conto è restare a casa nella comoda villetta in montagna con annesso parco o giardino, altro è rimanere in un appartamento che hai occupato; un conto è essere benestante o anche solo stipendiato, altro è essere povero o nullatenente; un conto se rimani in casa con tuo marito, altro se sei costretta in 40 metri quadri di casa popolare con marito, figli, suoceri e magari tutta l’attività domestica è sulle tue spalle (e capace devi anche telelavorare… hai un lavoro, te sì che sei fortunata!) Una cosa è se stai bene, altra è se hai problemi di salute, o hai un disabile da seguire, un bambino piccolo, un anziano non autosufficiente da accudire.

Non è la stessa cosa se stai a Milano oppure a Palermo, in campagna o in città, in centro o in periferia, in montagna o al mare, in zona depressa o ricca. Taranto non è Firenze, Scampia non è Cortina d’Ampezzo, la mia Pistoia e Napoli sono molto diverse.

Il senso delle misure ha un senso – appunto – se mi si dice, come ripetono gli esperti di malattie infettive, con molta chiarezza, che deve essere evitato il contatto fra persone estranee, o anche amiche o parenti ma di nuclei familiari diversi, per limitare la trasmissione del contagio, e si crea un vademecum o che so io per dire “questo si questo no”.

Invece è stata adottata la strategia “io resto a casa”. Sempre. Anche se vuoi semplicemente passeggiare, prendere aria, fare un peto senza dover andare sul balcone (sempre tu ce l’abbia, il balcone). Creando disparità fra chi ha il cane e lo porta fuori – e magari lo presta (o lo noleggia) a parenti e vicini, chi fa attività sportiva e chi no, chi ha la casa al mare e chi no. E sopratutto fra chi ha la casa e chi no, chi può fare la spesa e chi no, chi deve lavorare e chi no, chi è in carcere e chi è libero, chi è povero e chi no.

Dimenticandosi, come al solito, degli ultimi, e in questo caso anche dei penultimi.

Per favore, non siamo un popolo di imbecilli. Non vogliamo le strade presidiate da militari che fanno multe o arresti se solo vai a passeggiare sulla spiaggia, pretendiamo invece che si facciano solenni cazziatoni se le persone si accalcano sul lungomare.

Un appello a vip, politici locali o nazionali, esperti o sedicenti tali, giornalisti e conduttori televisivi, fautori di #iorestoacasa: anche no, grazie. Pensate a tutti quelli che non se lo possono permettere.

DISCORSI DAL DEPOSITO -per colpa di chi

Alla fine è successo: ArcelorMittal, ditta indiana del settore siderurgico, posa l’osso e se ne va dall’ILVA o forse no, rimane, chi lo sa?
Tutto dipende se sarà sopraffatta da uno stato, il nostro, truffaldino e cravattaro che ha revocato e non vuole più concedere l’immunità penale a questo probo investitore che rivendica il legittimo diritto di non essere punito per le colpe di altri, quelli che c’erano prima, o se questa immunità ci sarà liberando il capitalista da qualsiasi obbligo di rispettare la legge.
Questo il fatto nudo e crudo per come ce l’hanno servito.
Secondo me c’è qualcosa che non torna e stride, che, se esistesse il reato, andrebbe punito per “offesa alla pubblica intelligenza”.
Riflettiamoci un po’: qual è la logica per la quale un qualsiasi investitore nell’esercizio delle proprie funzioni dovrebbe essere immune dal commettere reati e a quale titolo lo stato dovrebbe concederla?
ArcelorMittal teme di essere coinvolta per reati e comportamenti fraudolenti dei precedenti proprietari dell’impianto tarantino (e non solo), per fatti avvenuti chissà quando e compiuti chissà da chi.
Bè qualcuno dovrebbe spiegare all’investitore che, in India non lo so, ma in Italia nessuno può essere condannato per fatti commessi da altri perchè la responsabilità penale è personale.
Lo Stato, da parte sua, non può concedere a nessuno alcuna immunità in rispetto del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della costituzione, quindi di che stiamo parlando?
Appunto di cosa si disquisisce se non esiste la materia del contendere?
Proviamo a cambiare punto di vista.
L’ILVA a Taranto è stato un azzardo fin dal principio: costruire un’acciaieria nel bel mezzo di una città è quantomeno insolito, ma d’altra parte come si dice, si vede che li volevano tutti “uscio e altoforno”.
I costi sociali e umani sono stati incalcolabili: ci sono già state migliaia di morti per inquinamento, ce ne sono e ce ne saranno ancora, tutti lo sanno, dalla proprietà precedente (il Riva figlio che tuonava al telefono “cosa volete che me ne freghi di qualche tumore in più”), al Presidente della Regione che fu (il Nichi a ricordare ”dica la Presidente che siamo qua”), a tutti quelli che per conto dello stato, e a vario titolo, dovevano controllare e l’hanno fatto, ma senza dirlo a nessuno perchè non si sapesse che d’ILVA si muore dentro e fuori lo stabilimento.
Una classe politica dove non solo alcuni, ma tutti, e fino ad ora, si sono genuflessi al capitale per trarne vantaggio a discapito dei molti che hanno accettato il rischio perchè c’hanno famiglia e dei moltissimi che non hanno deciso nulla, che ne sopportano le conseguenze semplicemente perchè sono lì.
Imprenditori, prima lo stato e poi i privati, con un unico scopo: il profitto sopra ogni altra cosa e se qualcuno muore, si inquina l’acqua, l’aria e la terra ce ne faremo una ragione perchè utili per mezzo miliardo di euro all’anno valgono bene qualche sacrificio (sia ben chiaro, degli altri).
Un’accoppiata atomica: la politica, l’imbonitore maligno delle genti alle quali deve vendere un prodotto avariato per incassarne la provvigione, e il capitale, spargitore senza scrupoli di letame per tornaconto, equanime foraggiatore di partiti e movimenti.
E nel malato gioco di queste parti l’immunità altro non è che un modo per garantire il profitto ad ogni costo e se per perseguirlo succedesse qualche disastro, l’assoluzione dalla colpa e dal dolo: se qualcuno muore o se il mare è inquinato al capitale non interessa, a riparare e ripulire ci pensino altri (cioè noi).
Ci offende tutti come cittadini il fatto che in Italia si voglia sancire un principio per il quale diventi normale, in nome del profitto, violare la legge ai sensi di legge.
Ci lascia sgomenti che sia proprio chi governa (?) a farsi artefice e garante di questa bestialità che dà una decisa spallata allo Stato di diritto.
C’è qualcosa di profondamente sbagliato in questo
Per colpa di chi?
Si dice che la colpa morì fanciulla, ma dopo aver ascoltato i soliloqui internettiani di qualcuno, gli svagellamenti in difesa del povero investitore dal politico o dal sindacalista televisivo di turno, le farneticazioni di coloro che parlano di una sinistra orgogliosamente sempre più simile alla destra, dopo tutto questo guardiamoci dentro che la riposta è già scritta e se riusciamo a leggerla avremmo compreso che ci siamo fatti fare una democrazia grande così ( Y ).
Italia lì 06/11/2019

In fede DonPi

Sanità fantastica e dove trovarla

Gentile Assessore della regione Toscana per:
• Diritto alla salute. Politiche per la promozione della salute, la prevenzione, la cura e la riabilitazione
• Organizzazione e programmazione del S.S.R.

E p. c. (in ordine di vicinanza in Km dallo scrivente)
Sindaco di Pescia (PT)
Presidente della Regione Toscana
Presidenti dei Gruppi politici regionali
Presidente della Repubblica
Presidente del Senato
Presidente della Camera dei Deputati
Presidenti Gruppi parlamentari del Senato
Presidenti Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati
Ministero della salute

E p. c. (in ordine di segnalibro indicato sul mio pc)
Il Fatto Quotidiano redazioneweb@ilfattoquotidiano.it
Repubblica repubblicawww@repubblica.it
La Stampa publiceditor@lastampa.it
Il Tirreno laposta@iltirreno.it
La Nazione online@quotidiano.net

Gentile Assessore,
ho deciso di rubarLe dieci minuti. Commetto questo furto perchè mi sento come una formica: senza voce.

Mai suono è uscito da un formicaio ed è per questo che silenziosamente scrivo perchè ho la certezza che il suono della mia voce non le arriverà mai e mi rimane solo la speranza che forse leggerà le mie parole.

Scrivo alle Istituzioni e non a coloro che le occupano perchè le persone cambiano, ma l’obbligo dello Stato di garantire i diritti di tutti rimane immutato nel tempo. Per conoscenza invio questa mia anche agli eletti da tutti che con il loro fare o non fare determinano se il formicaio sta bene o male.

Dai destinatari di questa missiva sono volutamente esclusi:
– il Presidente della provincia, di Pistoia in questo caso, perchè una brutta riforma l’ha dequalificato al ruolo di uomo di paglia di chi lo nomina e non più rappresentante del territorio al quale appartiene;
– i responsabili dell’ASL e Società della Salute, nominati da coloro che sono stati eletti, che, come i bravi di Don Rodrigo, devono solo garantire il risultato.

Prego coloro che intendessero pubblicare questa mia, in tutto o in parte, di omettere le mie generalità poiché ho sempre sostenuto che non è importante chi scrive, ma quello che viene scritto.

Come dicevo, ho deciso di rubarLe dieci minuti perchè Lei mi è debitore e sono qui a vantare il mio credito.

Abito in Valdinievole (provincia di Pistoia) e da quasi tredici anni devo esercitare il mio diritto alla salute più spesso della maggioranza dei miei concittadini: utilizzo i servizi che Lei organizza e ne farei volentieri a meno, ma proprio non posso.

In questi tredici anni, e forse già da prima, il cantiere della sanità non ha mai trovato un momento di pace e ogni innovazione si è sempre tradotta in un peggioramento di quello che c’era in precedenza.

Voglio evidenziare quello che mi costa la Sua organizzazione misurando il tempo che impiego per accedere alle prestazioni che mi sono necessarie.

Sono fortunato perchè rivolgo questa breve e incompleta disamina a chi, negli ultimi venti anni, ha occupato e occupa la cabina di regia dell’organizzazione sanitaria toscana per cui non si potrà ricorrere alla stucchevole filastrocca “la situazione attuale è determinata da quelli che c’erano prima”.

In questa mia non Le chiederò conto del disastro della sanità toscana misurato dal “IlSole24ore” e del silenzio sotto cui è passata questa notizia: non le chiederò nemmeno conto dell’entusiasmo di non molto tempo fa quando fu comunicato come il nostro sistema sanitario regionale fosse risultato performante secondo i LEA senza spiegare bene né cosa fossero né quanto quel successo era costato in termini di
sofferenza delle persone.

Parlerò, evitando di monetizzare in ragione dei periodi sottratti al lavoro, di quella quantità di tempo impiegata e sottratta al vivere semplicemente la vita da una miriade di cose grandi e piccole che la disorganizzazione impone.

Voglio ricordare che esiste anche un tempo ancora più prezioso che è quello non nostro che viene prestato in silenzio e con generosità da coloro che si prendono cura degli infermi e delle persone anziane.

1- IL PIANO TERAPEUTICO
All’inizio del mio “percorso sanitario” il medico dell’ospedale compilava il piano terapeutico che era necessario per accedere a determinati farmaci sia come quantità che per durata della cura (al massimo un anno ed è rinnovabile). Ovviamente questo inutile adempimento riguardava e riguarda solo farmaci che hanno un costo elevato (un esempio per tutti è il clopidogrel).

Con il piano terapeutico redatto dallo specialista mi recavo nella farmacia interna dell’ospedale dove mi veniva consegnato il farmaco per tutta la durata del piano: tempo impiegato un’ora.

Da qualche anno, invece, la procedura è cambiata ed è il medico di famiglia che fa la prescrizione dopo aver ricevuto dal paziente una copia del piano terapeutico: con la ricetta il farmaco si ritira in una qualunque farmacia.

Oltre al risibile costo della fotocopia e senza considerare il tempo necessario per tarsi fare il piano terapeutico, per reperire i farmaci devo recarmi più volte all’anno dal medico che mi prescrive le confezioni della medicina che può prescrivermi, poi vado in farmacia: con questa bella novità oggi spreco sei ore all’anno.

2- I FARMACI DISPENSATI DIRETTAMENTE DALL’ASL
Alcuni farmaci sono dispensati direttamente dall’ASL (quelli che costano cari tanto per intenderci) e la loro introduzione, sicuramente, è stato un beneficio per le esauste casse della sanità pubblica, ma è uno spreco di tempo che grava tutto sull’assistito.

Funziona così:
– il medico di famiglia fa la prescrizione per non più di 4 confezioni del farmaco per volta;
– la prescrizione è sulla “ricetta rossa”. Si potrebbe pensare che non vi sia differenza tra l’utilizzo di un tipo di ricetta (la rossa) e l’altro (quella bianca), ma non è così poiché la bianca, a differenza di quella rossa, può essere inviata per e-mail al paziente direttamente dal software del medico (lo fanno più o meno tutti);
– con la ricetta rossa si va in farmacia e si prenota il farmaco;
– il giorno dopo si torna in farmacia e si ritirano le medicine che nel frattempo sono state approvvigionate dall’ASL e non nella quantità prescritta (4), ma per un massimo di 2 pezzi, gli altri te li danno dopo un po’ (non mi dilungo sul significato strettamente economico di questo comportamento, ma se ne intuisce la motivazione).

Tutto questo va e vieni costa sei d’ore di tempo l’anno.

3- ESAMI E CONTROLLI
Devo farle esami e i controlli con regolarità, se tutto va bene solo una volta all’anno.

Per le analisi del sangue la situazione è molto cambiata passando dall’oggi fai il prelievo e domani hai i risultati (per certi dosaggi anche la mattina stessa), all’oggi fai il prelievo, poi arriveranno le risposte.

Interessante anche l’innovazione che da qualche anno regola i rapporti finanziari con il paziente: si è passati dal “quando vieni a prendere le risposte ci porti la ricevuta del pagamento del ticket” al “caccia i soldi altrimenti non ti metti neppure seduto” o, in alternativa, “dacci la pecunia o hai sprecato un buco”.

Pagare non è sempre facile e può accedere che la macchinetta o non funziona o, poichè non prende i contanti, non hai il bancomat (non te lo sei dimenticato, proprio non ce l’hai ) .

Si attiva l’insolito pellegrinaggio laboratorio-tabacchino, tabacchino-bancomat (alcuni prendono solo contanti e tu hai la carta perchè sapevi che serviva quella), bancomat-tabacchino-laboratorio e, forse, prelievo se concludi le procedure di pagamento entro il termine di chiusura del laboratorio.

Gli antichi sostenevano che “Pecunia non olet”, secondo i moderni, invece, deve puzzare parecchio se si sono presi la briga di inventare un sistema così faraginoso o, molto più semplicemente, le ragioni di risparmio dell’ente prevalgono sul disagio consapevolmente arrecato alle persone.

Che dire del rapporto umano con l’operatore socio-sanitario? A volte si fa fatica a capire se il tempo che dedicano a compiere il lavoro per cui sono pagati lo considerino ben speso o sottratto a quello dedicato ad altre attività.

Se prima era solo il pubblico che operava oggi vi si affianca o è sostituito dal privato, ma il servizio è decisamente peggiorato. Probabilmente uno degli scopi dell’innovazione era quello di privilegiare il profitto di pochi.

Gli accertamenti diagnostici, invece, sono nel marasma più completo. Prima concordavo direttamente con il reparto del quale sono ‘cliente’ (parlando di sanità la parola ‘cliente’ è ripugnante, si dovrebbe dire ‘paziente’, ma in quel modo erano definite, in una brochure di un reparto dell’ospedale di Pescia, le persone che vi si
recavano per le cure) e in una sola volta facevo tutto quello che era necessario.

Da qualche anno, invece, programmare i controlli con il reparto non è più possibile, ma devo prenotarli in due volte, una per ogni gruppo di accertamento, salvo le integrazioni del caso.

Questa è la procedura che va seguita:
– il medico di famiglia prescrive quanto necessario;
– si telefona al TELECUP per fare le prenotazioni………, ma non rispondono, mai, a volte è occupato, a volte squilla e parte il disco con le istruzioni e poi cade la telefonata, a volte quando speri di avercela fatta cade la telefonata;
– allora si va al CUP dell’ospedale, si prende il numero e vedi che ci sono 104 persone prima di te; una mattinata persa;
– se va bene si prenota, ovviamente in giorni diversi, se va male, per tutti o solo per alcuni esami, non puoi far nulla perchè o non c’è l’agenda o non è nota la disponibilità e per fare la prenotazione devi ritornare quando ti dicono loro, forse.

I tempi imposti dalla regione per l’esecuzione degli accertamenti sono puramente aleatori e se fosse per me li abolirei per evitare la sgradevole impressione di essere preso in giro quando vedi che la data della prenotazione è un multiplo di quella legalmente prevista.

Tempo perso circa due mattinate (se riesci a fare le prenotazioni necessarie in una volta sola) tempo impiegato otto ore.

4- LE VISITE URGENTI
Non capiti mai che ci sia la necessità di fare degli accertamenti urgenti.

Per ovviare ai tempi biblici di attesa per le visite e accertamenti diagnosti ci si è inventati la cosi detta “priorità” delle prestazioni che possono essere;
– U -Urgente (da fare entro 72 ore);
– B -Breve (da eseguire entro 10 giorni);
– D -Differibile (da eseguire entro 15/30 giorni per le visite o 60 giorni per gli accertamenti diagnostici);
– P -Programmata (Da eseguire entro 120 giorni),

Detta così potrebbe sembrare anche una buona cosa, in realtà è un meccanismo cattivo nel quale diventi un pezzo di carne da spostare a piacimento dell’azienda e che risponde a una logica perversa per la quale ti mancheranno le cure migliori quando ne avrai maggior bisogno.

Vediamone alcuni effetti:
A- ti senti male o nasce il sospetto che si possa essere affetti da un patologia importante e quindi c’è la necessità di fare degli accertamenti in tempi brevi o brevissimi. L’urgenza la puoi spendere solo all’interno della tua ASL per cui l’accesso alle cure migliori dipende solo dal fattore fortuna: se nell’area vasta dell’ASL dove risiedi esistono le competenze necessarie e le migliori per affrontare e risolvere il tuo caso ti puoi curare bene, altrimenti porta pazienza e ti metti in fila dove credi sia meglio per te con i tempi biblici delle prenotazioni ordinarie o paghi.

B- sei in cura presso una struttura pubblica (per esempio una clinica universitaria) che non è nella tua ASL perchè hai una patologia particolare. Se è necessaria una vista urgente relativa alla patologia da cui sei affetto non ti puoi rivolgere là dove ti curano e sanno quel che hai, ma la tua richiesta viene evasa nella tua ASL da medici che magari non hanno il bagaglio di conoscenze necessario per affrontare il tuo malanno e che sicuramente non ti hanno mai visto.

C- le visite con priorità vengono eseguite nell’area vasta della tua ASL quindi non importa se e quanto ti senti male, sei un pacco e puoi essere sbattuto in un qualsiasi presidio, pubblico o privato, che va, nel mio caso, da Pescia a Firenze, da tutta la montagna pesciatina e pistoiese fino al confine con il bolognese, da Prato fino a Empoli.

Si è dato un ordine al disservizio violando il diritto di ciascuno di farsi curare dove vuole.

L’alternativa sarebbe stata quella di organizzare e investire sul serio nel servizio sanitario nazionale per far sì che le attese divenissero ragionevoli senza che nessuno potesse trarre profitto dalla sofferenza altrui, ma ha prevalso la logica mercantile sui diritti delle persone.

In questi giorni il medico mi ha prescritto un esame con priorità B.

Mi reco al CUP per fare la prenotazione; è tardi e siamo 4 gatti e dopo 5 minuti di attesa mi approccio all’operatore (chissà se si chiamano cuppisti) il quale vede la prescrizione e sussurra un ‘seee’ e sul momento non capisco se si riferisce a me, se parla tra se, se cerca di mandarmi un messaggio e non può farlo in modo esplicito.

Il cuppista mi arringa con “si va più in là, il primo agosto presso ….(centro privato)”: mi sta bene tutto, ma se nel rivolgerti a me parti sulla difensiva e applichi la regola che ‘la miglior difesa è l’attacco’ già mi comunichi che lo sai di essere nel torto e che c’è qualcosa che non torna.

Faccio notare che il ‘più in là’ corrisponde a 42 giorni, quattro volte e un pezzettino in più rispetto alla previsione normativa: dopo una breve interlocuzione sulla quale sorvolo, l’operatore telefona a non so chi e la prenotazione si fa per il 24 giugno (tre giorni dopo) alle 20:30 presso una struttura privata di Scandicci che dista appena 120 km e 200 metri, andata e ritorno, da casa mia (vedi le mappe di google).

Costo 3 ore in una volta sola (con traffico e autostrada favorevole), benzina, pedaggio e una botta di caldo che te la raccomando, ma quando hai bisogno fai, taci e ingoi il boccone amaro.

Mi fermo qui perchè segnalare quanto mi costano in tempo altre ‘anomalie’ sarebbe facile e non voglio entrare nel merito di questioni tipo la modalità cervellotica con cui si svolgono i rapporti tra gli operatori di ciò che organizza Lei e i “clienti” ai quali appartengo io o sulla volatilità di certe regole che oggi ci sono, domani no, tra qualche giorno forse ci saranno di nuovo, ma un po’ diverse poi chi vivrà vedrà.

Bene, ora facciamo i conti.

Quest’anno fino a oggi ho già speso 23 ore: facendo una media per difetto nei precedenti dodici anni posso calcolare di aver impiegato almeno altre 260 ore per un totale di 283 che Lei ad oggi mi deve perchè sono il tempo che ho sprecato per l’inefficienza del sistema.

Si sa che per tutti il tempo è una quantità finita e variabile, ciascuno ha il suo, per questo che sprecarlo non è mai una buona cosa, ma se te le fanno sprecare è anche peggio.

Mi permetta una divagazione, ma oso, come si dice, ora o mai più.

Dai giornali ho appreso che una persona uscita dal pronto soccorso di Pistoia ha trovato scritto sui documenti della dimissione la simpatica frase “Desideriamo renderla partecipe del fatto che il servizio sanitario nazionale ha impiegato euro 264 per il suo percorso di cura” e che, a tacitazione di tutti coloro che a vario titolo si sono risentiti di questa novità, la stampa locale ha riportato quando da Lei dichiarato: “la Regione vuole informare il cittadino dei costi sostenuti per la sua salute, anche in nome della trasparenza.
Estenderemo questo sistema a tutti gli ospedali” .

Ritengo che ogni iniziativa tesa a rendere trasparente ciò che viene fatto sia sempre lodevole a patto che il principio si applichi a tutta l’attività svolta e non riguardi solo alcuni particolari.

Una frase siffatta non rende trasparente nulla (lo dice anche lei nella dichiarazione giornalistica dove campeggia un “…, anche in nome……”), ma più cinicamente sottende un laconico “visto quanto ci sei costato!?”.

In realtà quella persona era in ospedale per esercitare il proprio diritto alla salute che Lei e le strutture che lo Stato ha creato dovete garantire: siete lì solo per quello.

Se così è la questione cambia perchè l’interessante non è quanto costa il percorso di cura, ma se per adempiere alla missione che le è stata affidata è stato celere, risolutivo, se le sofferenze sono state lenite in tutti i modi possibili senza lesinare sulle cure, se tutto è avvenuto nel rispetto della persona malata e dei suoi parenti e, anche, se le risorse finanziare a disposizione le ha impiegate bene o male: queste le questioni che
meritano trasparenza e non altro.

Siamo giunti alla fine: lo sa qual è la cosa comica? Entrambi siamo consapevoli che il debito non verrà mai onorato perchè è impossibile farlo e che tutto continuerà ad andare come sempre e, sicuramente, anche peggio.

Ho deciso di investire alcune ore della mia vita in questa farneticazione perchè secondo me andava fatto, se sei un senza voce non ti rimane che scrivere per cercare di far conoscere il tuo pensiero.

Se con questa mia riuscirò a stimolare anche altri a fare altrettanto (intendo scrivere e non postare che è cosa assai diversa: oggi tutti postano, ma nessuno scrive più), per me sarà una bella soddisfazione.

Il potere è sordo, forse sa leggere.

Cordiali saluti

ABC Acqua Bene Comune

Mercoledi 20 marzo in prima serata ore 21.15 ritroviamoci tutti al

Circolo ARCI di Margine Coperta
Via Primo Maggio 47, Massa e Cozzile (PT)

Per parlare di ACQUA BENE COMUNE cioè dell’ABC della politica. Partecipa, parliamone insieme a

  • Tommaso Fattori – Consigliere Regionale, fra i Membri fondatori del Forum Movimenti Per l’Acqua, e promotore della legge regionale sui Beni Comuni
  • Rosanna Crocini – Presidente del Comitato Acqua Bene Comune di Pistoia e della Valdinievole
  • Giuliano Maglieri – Presidente di Officina

Insieme si può!

Da sempre crediamo nella possibilità di unire fra loro le forze politiche, le associazioni e soprattutto le persone che condividono i valori comuni della sinistra, come il rispetto della Costituzione, il lavoro, la scuola, la salute e la sanità pubblica, la tutela dell’ambiente e la cura del territorio, il pacifismo, l’accoglienza, la cultura, la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale.

E’ la parola sinistra che contraddistingue il nostro impegno e la nostra azione, ciò che ha fatto un certo “centro-sinistra” negli ultimi anni è cosa ben diversa. Come diverso è il nostro pensiero e l’idea che abbiamo della società da quella della destra, soprattutto di quella dai tratti decisamente fascisti che ora è propagandata anche (e soprattutto) da esponenti del governo, che evidentemente non hanno rispetto per le istituzioni che rappresentano.

E allora iniziamo dal nostro territorio, da casa nostra, a dire che insieme si può. Insieme a Diem25 Pistoia, L’Altra Sambuca, Liberi e Uguali, Possibile, Sinistra Italiana, Sinistra Unita per Montale, Rifondazione Comunista stiamo costruendo un percorso, nel quale vogliamo coinvolgere quante più persone possibile, che porti ad un’azione comune, contro la disgregazione sociale, il razzismo e il sessismo, contro la povertà e le disuguaglianze, contro i privilegi e le ruberie, in una parola: di sinistra.

Il nostro obiettivo è anche quello di diffondere questo messaggio, affinché altri seguano il nostro esempio, sperando di essere contagiosi. Insieme si può, basta fare ognuno un passo verso l’altro, tendere una mano, ricordarsi di essere compagni nel sostenere una comune lotta, per un domani migliore.

Ci vediamo per un primo appuntamento Giovedì 28 Febbraio 2019 alle 21.00 al Circolo di Margine Coperta.

A Sinistra – Insieme si può

Sanità, salute, territorio

Venerdi’ 12 ottobre 2018, alle ore 21.15 presso il Circolo ARCI di Pontelungo di Pistoia, Officina promuove la prima serata dedicata alla sanità, salute e territorio.

Officina ti invita a partecipare per meglio conoscere i problemi della nostra sanità pubblica, che riguardano noi tutti, ed a portare il tuo contributo per soluzioni concrete ed efficaci.

Gli esperti del settore che ci aiuteranno in questo sono Monica Pecori, tecnico della prevenzione, e Paolo Sarti, medico pediatra, entrambi membri del Consiglio Regionale della Toscana.

Sanità Salute Territorio

QUI puoi scaricare la locandina

Il grande bluff del PUFF Regione Toscana

Pubblichiamo e condividiamo il documento, inviatoci da Patrizia Gentilini

IL GRANDE BLUFF DEL PUFF TOSCANO
Considerazioni tecniche sul
Decreto del Presidente della Giunta Regionale toscana
(D.P.G.R.) 30 luglio 2018 n. 43/R
frutto della delibera 506 del 17 maggio 2018 votata all’unanimità dalla giunta regionale

liberamente consultabile, che analizza il recente PUFF ovvero Piano Utilizzo Fitofarmaci Fitosanitari della Regione Toscana.

Scarica il documento (PDF)